Il danneggiato di un incidente stradale, in seguito alla lesioni dell’omero patita, veniva licenziato dal proprio datore di lavoro (una ditte di pulizie) per superamento del periodo di comporto. Chiedeva pertanto il risarcimento del danno da perdita di capacità lavorativa alla compagnia di assicurazione del responsabile civile, con domanda rigettata integralmente in primo grado e solo parzialmente riformata in secondo grado, che censurò il comportamento della vittima che non si sarebbe attivata per cercare una nuova occupazione, limitando in danno in sei mensilità di retribuzione.
La Corte di Cassazione, cassando la sentenza e rinviandola alla Corte di appello, ha espresso il principio secondo cui non è onere della vittima di lesioni personali, licenziata a causa del superamento del periodo di comporto, dimostrare di aver cercato un altro lavoro che le garantisse un pari livello di reddito.
Piuttosto la valutazione di tale fatto potrà influire, ai sensi dell’art. 1227 c.c., ai fini della riduzione del risarcimento per fatto colposo del creditore
Inoltre, rispetto all’incidenza dei postumi sulla capacità di lavoro “specifica”indica al Giudice di merito un iter verificatorio da seguire basato sui seguenti passaggi: a) accertare i postumi patiti dal danneggiato; b) accertare la compatibilità tra i postumi e il concreto tipo di impegno, fisico o intellettuale, richiesto dal lavoro svolto dalla vittima; 3) verificare l’esistenza in atto o in potenza di una riduzione patrimoniale.
Ovviamente spetterà sempre al danneggiato fornire la prova del lavoro svolto e dei redditi prodotti, ma la liquidazione del danno da lucro cessante futuro, che spetta al giudice e non al medico legale, è determinata in via equitativa ai sensi dell’art. 2056 c.c.